2.2.09

di Maurizio Matteuzzi - BELÉM Ritorno IN AMAZZONIA

A BELEM IL «GRANDE» FORUM
Il Forum sociale mondiale torna agli incontri globali e alla sua terra d'origine, il Brasile. Aperto da un grande marcia sotto la pioggia, affronterà le crisi che scuotono il pianeta con la consapevolezza di «aver avuto ragione». Oggi il confronto con i cinque presidenti «amici»
Ogni giorno più o meno alla stessa ora, qui a Belém arriva «la pioggia delle tre», una manna che allevia un poco il calore umido dei tropici che soffoca la città tutto l'anno, estate e inverno. Martedì pomeriggio ha tardato un poco ed è arrivata alle quattro, l'ora fissata per la partenza della marcia che ha inaugurato il nono Forum sociale mondiale. Era fissata alle quattro proprio per sfuggire alla pioggia delle tre. Un acquazzone terrificante che per almeno mezz'ora ha aperto le cateratte sul fiume di popolo colorato e allegro del Brasile e del mondo arrivato fin qua da 150 paesi. Ma nessuno se n'è accorto degli 80, 90, 100000 - il numero importa ma allo stesso tempo non importa, perché erano tanti - che si preparavano a partire, bagnati fino alle ossa. Anzi, visto che tardava e faceva un gran caldo, alcuni degli indigeni, protagonisti della marcia e del forum che non per caso si svolge in Amazzonia, hanno improvvisato una danza della pioggia subito assecondata dai loro dèi. Anche se per la verità in questa occasione gli indigeni e i loro dèi non hanno dovuto fare grandi sforzi. Così, inzuppata e felice, la marcia è partita dalla Estação das Docas, nella zona del porto sul fiume, dove i vecchi capannoni in ferro battuto inglese ospitano ora, dopo essere stati restaurati, ristoranti costosi e a buon mercato in cui si possono gustare l'infinita varietà dei pesci dai nomi indiani del grande Amazonas e dei suoi affluenti - jaraqui, pacu, tambaqui, surubí, pirarucu, tambauqui, tucunaré, di solito serviti con pirão e tucupí, un puré e una salsa a base di manioca... Passata la Praça da República, il cuore della città, davanti al Teatro da Paz con le sue strutture neoclassiche che ricordano alla lontana il favoloso Teatro Amazonas di Manaus, è entrata nella avenida Nossa Senhora de Nazaré. Una fiumana di gente, di varia umanità, di bandiere, di colori della pelle e delle bandiere, di striscioni - uno lungo decine di metri con il nero, il bianco, il verde e il rosso della bandiera palestinese portato da molti della numerosa presenza italiana. Naturalmente i più vistosi e fotografati erano le folte schiere degli «indios» brasiliani e amazzonici - ma sono arrivati a migliaia anche dagli altipiani andini della Bolivia, del Perú, dell'Ecuador, - che sfilavano dipinti e compatti: forse per una volta non sono e non si sentono solo oggetto di folclore - sarebbe il fallimento del Forum - con cui farsi fotografare e da immortalare dalle telecamere (dicono ci siano almeno seimila giornalisti, anche se la copertura mediatica dei grandi media internazionali e brasiliani, come la famosa e pessima Rede Globo, è molto striminzita). Come sempre e come si conviene a un evento di questo tipo, momenti di incontro, di protesta, di festa, di proposta, di affermazione politica, sindacale, etnica, umana, c'era e si è visto di tutto. Dalla crisi economica globale all'aggressione israeliana contro i palestinesi, dall'economia solidale ai diritti dei popoli originari, dalle bandiere cubane a quelle delle parrocchie cattoliche, dai marxisti-leninisti duri che invocano la «reolução» agli ottimi agli ecologisti in bicicletta, dalle «streghe» che invocano la depenalizzazione dell'aborto (che in Brasile è ancora reato e provoca stragi fra l'infinità di donne dei ceti più bassi) ai luterani, dalle lesbiche vestite in bikini leopardati ai movimenti dei «senza casa», dai «senza terra» che reclamano da Lula la promessa (e non mantenuta) riforma agraria ai verdi, dai trozkisti della Quarta internazionale a urlare che «dalla crisi capitalista si esce con un mondo socialista» a tardohippies made in Usa sovente accompagnati dai figli, da europei di mezza età e di ceto medio ad arrabbiati sottoproletari delle disgregate periferie urbane del Brasile. Poi tanti, tantissimi preti e suorine di quelli che piacciono tanto a noi: i Padri della consolata e la nerissima suor Paolina arrivata dalla Nigeria, quel frate in saio francescano e al collo una kefia palestinese. Spesso fianco a fianco con i marxisti, con le lesbiche, con gli atei incalliti. Ma soprattutto - e bellissimo - in quella fiumana spessa che avanzava, c'erano un'infinità di giovani e giovanissimi, segno che la politica (perché questa è politica piena) non è solo, come sempre più spesso sembra in Italia e forse in tutto il mondo sviluppato e «civilizzato», roba da vecchi. Il tutto, visto che siamo in Brasile e il sacro carnevale si avvicina, accompagnato dal ritmo battente e ossessivo dei tamburi, la batucada. E soprattutto, da una consapevolezza nuova che non c'era nelle marce e sfilate delle precedenti edizioni del Forum sociale mondiale: la consapevolezza di «avere avuto ragione» nella denuncia contro la natura criminale e omicida del mondo neo-liberista e nella «resistenza» contro quel mondo alla ricerca, forse a volte confusa, di «un altro mondo possibile». Ora, con il crack globale che angustia il pianeta senza eccezioni, quel mondo simbolicamente riunito a Davos - dove lorsignori hanno dovuto perfino rinunciare al caviale con champagne - è crollato. E il nuovo mondo è davanti a loro, quelli che marciavano e gridavano lungo la avenida di Nossa Senhora de Nazaré della sperduta Belém do Pará, anche se è un mondo ancora «incognito». E' simbolico il fatto che quel mondo «incognito» lo si cerchi proprio qui, nel vecchio «nuovo mondo» che almeno per gli ultimi trent'anni almeno del '900 era stato scelto come laboratorio sperimentale del mercato più selvaggio. Un mondo che certamente non è dietro l'angolo a portata di mano e dovrà essere ancora cercato e conquistato con infinita pazienza e grandi sofferenze. Ma il cuore di quel mondo era lì, sotto la pioggia e il sole di Belém ed è qui, in Amazzonia, una regione che è insieme l'inferno e il paradiso. «In Amazzonia il punto di non ritorno è vicino - dice Gilvan Sampaio dell'Istituto nazionale brasiliano per le ricerche spaziali che controlla dal satellite l'avanzata della deforestazione -.Se un altro 30% della foresta sarà distrutta, questo eco-sistema cesserà d'esistere, rimpiazzato da un altro, un'immensa savana». E al ritmo attuale, nel 2050 la metà degli alberi sarà sparita. Il disastro finanziario di oggi è solo l'annuncio del disastro ambientale di domani. Dopo la marcia di martedì, è cominciato il Forum sociale mondiale vero e proprio. Ieri era il giorno della «Pan-Amazzonia» e dei «500 anni della resistenza indigena», oggi sarà il giorno in cui i cinque presidenti «amici», il brasiliano Lula, il venezuelano Chávez, il boliviano Morales, l'ecuadoriano Correa e il paraguayano Lugo, incontreranno il Forum. Non sarà un pranzo di gala.

2 comentários:

  1. Anônimo5:48 PM

    Aí Ney...Blog sempre otimo!!!
    Adorei

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  2. Putz... pena que não sei quem é, para agradecer...

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Escreve ai vai!!!